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Greta torni a scuola? Sì, se per cambiarla

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Chi educherà gli educatori? (Karl Marx)

1. Il re nudo, da Christian Andersen a Gianni Rodari

«Il re è nudo!», sbotta il bambino, precursore dell'idiota di Dostoevskji e di mille altri guastafeste, nella favola di Hans Christian Andersen L'abito nuovo dell'Imperatore (1837). L'esclamazione, vi si racconta, spezzò l'incantesimo, abilmente ordito da due falsi tessitori, che avevano indotto il sovrano, la corte e il popolo tutto, a credere nella magia dei loro meravigliosi (quanto inesistenti) tessuti, dotati, assicuravano, dello straordinario potere di risultare visibili alle persone intelligenti e invisibili agli sciocchi. E poiché, com'è facile supporre, nessuno voleva passare per sciocco (e anzi tanti non vedevano l'ora di misurare quanto sciocchi fossero gli altri), finirono per convincersi tutti quanti che l'abito nuovo di Sua Maestà, meraviglioso lo era davvero.

A quell'esclamazione, così si conclude la favola, tutti quanti aprirono finalmente gli occhi, re compreso, il quale tuttavia non trovò di meglio che tirare diritto, ancor più impettito: «rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: "Ormai devo restare fino alla fine." E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era».

Abilità dei persuasori, credulità dei vanitosi e delle folle, servilismo dei gigli magici che fioriscono intorno ai potenti, solitudine del potere... Tante sono le riflessioni che se ne possono trarre. Ma molto più interessanti sono quelle che si possono trarre dal finale alternativo che ne scrisse per un adattamento teatrale quel genio straordinario che risponde al nome mai abbastanza celebrato di Gianni Rodari. Alquanto scettico, per parte sua, circa la spontanea propensione delle folle ad aprire gli occhi: «Voci dalla folla: Monello impertinente! Tappategli la bocca! Cosa ci tocca sentire...».

Era poi anche piuttosto disincantato, il Nostro, circa la propensione dei potenti a farsi espressione della folla forcaiola: «L'imperatore [...]Olà, cortigiani, ciambellani, maggiordomi, ammiragli... Presto, chiamate il boia! Un cortigiano - Per i due truffatori, Maestà? Imperatore - No! No! Per quel bambino che ha detto la verità! Cortigiano - Agli ordini, Sire! (e al pubblico) Ma voi, se lo vedete, ditegli di fuggire... nascondetelo...   proteggetelo... E quando sarà grande tornerà per mettere in fuga mille bugiardi con una sola verità - FINE».

2. Per la riforma ecologica dei processi formativi

Ho speso troppo tempo da bambino a leggere e rileggere tutto quel che di Rodari mi capitava sotto mano, e troppo tempo da grande a meditare sulle virtù ansiolitiche di quell'antichissimo farmaco sociale che è il capro espiatorio (come sanno fino alla noia i quattro lettori di questo blog), per provare stupore di fronte al vergognoso accanimento in atto verso Greta. Sulla cui immaginetta stereotipata convergono spilloni da falso stregone di vario genere, apertamente reazionari come presunto-illuminati, troppo noti perché li debba elencare qui.

Qui ne prendo uno soltanto: l'intimazione a tornare a scuola, a studiare, prima di prendere la parola. Intimazione urtante, nel suo paternalismo autoritario, per il sessantottino che continua ad agitarsi in me. E che però credo valga una riflessione attenta. Ovviamente separata – devo proprio dirlo? – dallo sfondo anti-Greta che con varie sfumature accompagna quell'intimazione. Una riflessione che si lasci anzi alle spalle l'opposizione fuorviante Greta-antiGreta, e che potremmo riassumere come segue.

Sì, d'accordo, tornino a scuola, questi milioni di ragazzini, appena risvegliati all'impegno politico. Ma per cambiarla. Ci tornino insieme agli insegnanti che li accompagnano. Anzi, insieme a tutti quegli insegnanti che tengono alla dignità oggi alla frutta del loro bellissimo mestiere. Anche interpellando quegli scienziati 'allarmisti' che grazie a loro oggi contano politicamente un po' di più.

Tornino a scuola, e oltre al permesso di manifestare giustamente in pubblico su temi che sono preda di radicali incantesimi negazionisti, ancora appena solo sfiorati dal loro movimento, esigano con pari determinazione l'altrettanto radicale riforma della scuola, luogo vitale di conflitti e alleanze tra generazioni, e motore indubitabilmente cruciale delle rivoluzioni culturali rese necessarie dalla drammatica catastrofe ecologica planetaria in atto.

A Greta non si perdona facilmente che con quella ostinata e monocorde determinazione abbia fatto da catalizzatore – semplice catalizzatore simbolico, signori forcaioli, non ignaro strumento di occulti tessitori-demiurgghi mediatici! – a un inatteso movimento giovanile transnazionale che evidentemente incubava da tempo. E che sembra esser riuscito in un batter d'occhio (almeno fin qui, è bene aggiungere), con le ovvie ingenuità di un movimento neonato, là dove decenni di autorevoli e allarmanti rapporti scientifici avevano faticosamente arrancato: incrinare l'incantesimo del negazionismo climatico. Un incantesimo che abita i nostri sguardi assai più in profondità di quanto ameremmo apprendere.

E non parlo solo del negazionismo proclamato, ma anche, e anzi soprattutto, di quello praticato di fatto. Che fa tutt'uno con le nostre quotidiane abitudini emozionali, di pensiero e d'azione, da decenni. E anzi da secoli: anche se oggi che il pianeta ospita quasi 8 miliardi di animali modernisticamente persuasi nelle loro avanguardie ideologiche, economicamente e tecnicamente superdotate, di appartenere a una specie innegabilmente sapiens, gli effetti concreti di queste abitudini si fanno di giorno in giorno più vistosamente devastanti (cfr. POST e seguenti).

Non invoca forse tutto questo una radicale riforma delle istituzioni e delle pratiche formative? E non sarebbero i luoghi della formazione, ripensati ecologicamente nei contenuti e insieme nelle modalità relazionali e istituzionali, la miglior protezione dai «mille bugiardi» – per riprendere Rodari  – per «il bambino che ha detto la verità»? Ovvero di quel prezioso quanto delicato gioco della verità e dell'errore, come lo chiama Edgar Morin (libro edito in italiano da Erickson, 2010), che rimane comunque un "gioco" più grande di ciascuno di noi (piccoli guastafeste naturalmente inclusi)?

Una ventina d'anni fa, due smilzi librettini di Morin riscossero nel mondo degli insegnanti e degli educatori un vasto, inatteso successo editoriale e culturale: La testa ben fatta e I sette saperi necessari all'educazione del futuro (editi entrambi da Cortina). Contenevano già in nuce, a ben vedere, tutti i temi essenziali per l'indispensabile riforma ecologica della formazione. Perché non ricominciare da lì?


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